Dal concetto di “integrazione” a quello di “inclusione” delle diverse abilità.
5 Luglio 2018L’empatia guida le nostre scelte morali, anche nell’autismo. Ecco i risultati di uno degli ultimi studi
L’autismo è uno dei disturbi più fraintesi. Essendo relativamente raro nella popolazione, non tutti abbiamo avuto a che fare direttamente col fenomeno, e magari pensiamo che film come Rain man, The Cube, e Codice Mercury ci mostrino realmente in cosa consiste.
Il mito dell’autistico genio della matematica è però solo uno dei tanti che si sono sviluppati degli anni, e tra questi uno dei più pericolosi è quello secondo cui queste persone siano totalmente incapaci di comprendere e provare emozioni.
Il corollario di questo mito è che gli autistici non potrebbero sviluppare una morale e che recenti stragi come quella in Oregon ne siano il tragico risultato.
In realtà l’empatia è una complessa qualità umana che comprende non solo una componente affettiva (“sento quello che senti tu“), ma anche una componente cognitiva (“capiscoquello che senti“). L’empatia cognitiva fa parte della Teoria della mente, che ci permette di attribuire agli altri gli stati mentali (come desideri, obiettivi, e appunto emozioni), e dagli ultimi studi sembra che sia proprio quest’ultima a non funzionare adeguatamente nello spettro autistico.
Per quanto riguarda invece l’empatia affettiva che tutti conosciamo, cioè quella che permette di mettersi nei panni degli altri, da diversi anni si ipotizza che la freddezza di molti autistici in questo senso sia in realtà dovuta all’alessitimia, una condizione subclinica associata all’autismo (si presenta nel 50% dei pazienti), ma che non fa parte dell’autismo in sé.
Ora un nuovo studio pubblicato oggi su Scientific Reports ha approfondito questo aspetto esaminando le reazioni degli autistici ai dilemmi morali.
Un celebre dilemma morale, usato anche nello studio, è il dilemma del carrello ferroviario: nella variante ‘impersonale’, il carrello sta per investire un gruppo di persone e dobbiamo decidere se saremmo disposti a deviarlo su un altro percorso dove si trova solo una persona; nella variante personale, ci dobbiamo invece chiedere se saremmo disposti a buttare noi stessi sulle rotaie una persona molto grassa per salvare il gruppo.
I neuroscienziati della Sissa (Scuola internazionale superiore di studi avanzati) e dell’università di Vienna hanno sottoposto a questi test un gruppo di 17 persone autistiche altamente funzionali (cioè con quoziente intellettivo vicino alla norma o superiore), distinguendo l’impatto sulle scelte morali attribuibile al disturbo autistico da quello quello dell’alessitimia.
I dilemmi morali usati dai ricercatori erano molto impegnativi emotivamente: se gli autistici fossero davvero fredde macchine calcolatrici senza alcuna empatia, ci aspetteremmo quindi risposte di tipo utilitaristico, cioè verrebbe scelta sistematicamente l’opzione che mette in salvo più persone, anche a costo di uccidere un essere umano. In realtà nel complesso le risposte dei soggetti autistici non sono diverse dal gruppo di controllo e questo, secondo i ricercatori, sarebbe dovuto a due forze contrapposte che si bilanciano a vicenda.
L’empatia rende i dilemmi morali, specialmente quelli ‘personali’, molto più stressanti per un autistico, e questo tenderebbe a far loro evitare lo scenario in cui dovrebbero compiere azioni dannose per qualcuno, anche se fosse per salvare delle vite. Al contrario l’alessitimia, che rende meno facile mettersi nei panni di chi soffre, spinge gli autistici che ne sono affetti verso l’opzione utilitaristica. Il risultato finale è che gli autistici si comportano di fronte a un dilemma morale proprio come la maggior parte di noi.
Lo studio, scrivono gli autori, è limitato soprattutto dalle ridotte dimensioni del campione e potrebbe essere criticabile l’utilizzo di strumenti estremi, come appunto i dilemmi morali, che non necessariamente potrebbero essere indicativi di situazioni tipiche della quotidianità. In attesa di ulteriori studi, il mito dell’autistico incapace di empatia e morale ne esce ulteriormente demolito.
Stefano della Case